17 marzo 2011

17 marzo: è festa, ma non per tutti (in particolare per alcuni politici)

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Il 17 marzo 2011 è finalmente festa del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Ma non per tutti.
In particolare non chiedete di festeggiare ai politici che l'hanno proclamata, perché non saprebbero che dirvi.

Le Iene l'hanno chiesto a politici vari fuori da Montecitorio.

Guardare qui per (non) credere.



Post scriptum:  Ho capito perché i parlamentari non sanno niente della festa.
In realtà non l'hanno proclamata loro, ma è stato il Governo che ha fatto un decreto-legge, il n. 5 del 22 febbraio scorso, a meno di un mese (!) dal 17 marzo. Le Camere hanno sessanta giorni per convertire in legge il decreto: vuol dire che i deputati studieranno adesso.

Post Post scriptum: E che succede se passati i sessanta giorni, a fine aprile non lo convertono? Gli diamo indietro la festa, i soldi e le bandiere?

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30 gennaio 2011

Agli onori della cronaca balzano parole antiche e desuete

Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana

Da tempo - senza riuscirci mai - vorrei affrontare il rapporto tra etica professionale e il lavoro dell'ufficiale di anagrafe - e ho espresso in questo post un certo disagio nel non avere ottenuto nessun contributo sul tema.

Quello che era certo nella mia testolina è che avrei cominciato dalla Costituzione, da quell'articolo 54 che dice così:

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

A dir la verità mi sembrava che ci fosse necessità di rispolverarlo questo articolo, sia nella prima parte sia nella seconda che come Uff.A ci riguarda in particolare, essendo noi appunto tra i "cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche".

Credo di non essere il solo a percepire in quelle due paroline così demodé, "disciplina e onore", un sentore di vecchiume, un profumo ottocentesco di "buone cose di pessimo gusto", di sentimenti ormai morti e sepolti dalla modernità.

Grande è stata quindi la mia sorpresa quando quelle due paroline e tutto l'articolo della Costituzione  ha avuto nei giorni scorsi l'onore della cronaca per la citazione che ne ha fatto il cardinale Bagnasco a un'assemblea episcopale a proposito di alcuni recenti fatti che coinvolgono il presidente del Consiglio dei Ministri.

Ma guarda! mi sono detto.
La devono ricordare i vescovi agli italiani, la Costituzione italiana?
Questo Paese è così tanto smarrito?

Il sentore di stantio che emanano parole come disciplina e onore dice molto su questo Paese, alla vigilia (il prossimo marzo) dei suoi primi 150 anni.

Ma - tornando a noi - cosa dicono queste due paroline a noi pubblici dipendenti e in particolare a noi Uff.A?
Nella mia esperienza mai ho sentito citare questo articolo in riunioni, assemblee, corsi, giornate di studio, incontri in qualsiasi modo denominati. Io stesso mi sono imbattuto in questo articolo della Costituzione per caso, oltre dieci anni fa, mentre ricercavo altro.

Mi mancano le parole, perfino, per rendere concreto cosa sia lavorare con disciplina e onore nelle nostre occupazioni quotidiane, tra residenze vere e fittizie ad esempio.
Chi ne ha?

10 ottobre 2010

Una su venti (c'è disagio e disagio)

Scrivevo mesi fa in un post che il collega dell'anagrafe del comune di Arcore (provincia di Monza-Brianza) avrà molto tempo per stabilire la dimora abituale - e quindi la residenza - del capo del governo cavalier Silvio Berlusconi, che come è noto frequenta anche quel territorio.

Mai avrei immaginato che intervenisse direttamente l'interessato. E' successo sabato 2 ottobre, a Milano.

Nel resoconto sul familiare Giornale o direttamente sul video dell'ostile Repubblica (al minuto 1'05") si può sentire il nostro esibire il disagio di individuare tra le sue venti la casa in cui fissare la propria residenza una volta uscito da palazzo Chigi in Roma.

Penso a tutti questi disagi: il disagio del premier, il disagio del collega di Arcore - che ora non ha più l'eternità ma deve scegliere una dimora su venti e capire se è la "sua" - e il mio disagio: sarà mica che il premier leggerà questo bloghetto qui in basso ogni tanto?

Penso anche agli agi. Tra tutti questi disagiati, ci sarà pure qualcuno tra gli agi in questa storia...

11 luglio 2010

Dei quesiti e delle pene (ovvero ci tocca quel che ci tocca perché siamo latini cattolici romani)

Il presidente della repubblica francese Nicolas Sarkozy

Da un esame rapido delle modalità di accesso a questo blog, appare con grande evidenza che nelle ricerche la parola con la quale più facilmente si arriva all'Anagrafe dal basso è la parola "quesiti".

Quasi la metà di quelli che trovano questo blog, vi sono incappati perché cercavano risposte a loro quesiti. Presumo che siano colleghi Uff.A che hanno problemi con i loro utenti - cittadini.

La parola "quesito" designa in questo contesto una modalità di soluzione dei problemi dei pubblici funzionari, che viene da lontano.

Tipicamente, nella burocrazia se il funzionario ha un problema di applicazione delle norme, scrive ai superiori (nel caso dell'Anagrafe: alle prefetture, organi del Ministero dell'Interno) esponendo il fatto, ponendo il "quesito" su come comportarsi e aspettando la risoluzione dell'organo superiore. Avuta la risoluzione del quesito, il funzionario non dovrà fare altro che applicarla al suo caso concreto.

Questo sistema è stato ripreso dall'associazione degli Uff.A (l'Anusca), che ha un suo servizio quesiti riservato agli associati. Uguale sistema seguono le principali riviste di settore.

Ebbene, il fatto che così tanti ricerchino in Internet la parola "quesiti" (con la variante "quesiti Anusca") sembrerebbe contraddire ciò che ho sostenuto in precedenza (che cioè il porre quesiti non può più bastare e che si deve passare a un modello di "Linee guida per gli Uff.A" curate dalla loro associazione), ma la contraddizione è forse solo apparente.

Tutto sommato, perché mai i colleghi che hanno un problema concreto dovrebbero aspettare che appaiano fantomatiche Linee guida e non chiedere invece con urgenza e preoccupazione una soluzione, perpetuando in tal modo il sistema dei quesiti (e degli addetti alla risposta dei quesiti)?

Dovrebbero forse, questi colleghi, rivolgersi al servizio quesiti ministeriale online "L'esperto risponde", meglio conosciuto come "L'esperto non risponde" (tanto che recentemente è stato rinominato "Risposte ai quesiti" quasi a ributtare la palla dall'altra parte, mettendo l'accento sui quesiti più che sull'esperto...)?

Certamente no, però pensavo in questi giorni: ma guarda, non ho ottenuto nessun contributo sull'etica professionale in anagrafe, contributi che avevo richiesto un anno e mezzo fa e che costituiscono una delle ragioni della mia discesa in campo.

E unendo i due fatti (tanti quesiti e nessuna etica) ho pensato: non sarà che noi Uff.A facciamo così perchè siamo figli della tradizione cattolica di questo Paese, della casistica della Controriforma?

Noi Uff.A (e le prefetture e tutto il Ministero dell'Interno) saremmo così perchè non abbiamo avuto la Riforma e Lutero, con il suo mettere l'accento sulla responsabilità dell'individuo di fronte a Dio, senza la mediazione del clero?

Noi Uff.A cerchiamo i quesiti perchè cerchiamo la "risposta clericale" che ci esime dalla sofferta ricerca "protestante" dell'etica? Addirittura?

Sulla Stampa di stamani, Barbara Spinelli parlando della Francia (parliamo un po' male anche degli altri paesi, ogni tanto...) e del marasma che attraversa le classi dirigenti anche in questa nazione latina (e cattolica), cita uno studioso francese con una lunga frequentazione con l'Italia. E qui cito anch'io, perche non saprei dir meglio, anche se si parla di classi dirigenti (cui gli Uff.A certamente non appartengono):

Yves Mény sostiene che marasmi simili sono possibili perché nell’Europa latina è la cultura cattolica a dominare. La cultura cattolica assolve, stabilisce regole severe, ma non mette in motosconvolge la coscienza. Il politico o l’amministratore non possiedono un proprio intimo codice etico: solo il codice penale può fermarli, se la magistratura ha la necessaria indipendenza, e questo diminuisce drasticamente le difese immunitarie dalla malattia della corruzione. Solo verso l’elettore il politico si sente responsabile, ed è il suffragio universale a decidere della buona o cattiva reputazione del leader.

E rieccoci tornati all'etica. Che non c'è.

2 luglio 2010

A latere. Vita, Libertà e ricerca della Felicità (Memo per il 4 Luglio)

Il 4 luglio 1776, il Congresso delle tredici colonie americane adottava la Dichiarazione di Indipendenza dal governo britannico, stesa principalmente dalla mano di Thomas Jefferson, un politico ed intellettuale rilevante. Riproduco qui la celeberrima introduzione della Dichiarazione, che da oltre 230 anni non cessa di essere affascinante e - purtroppamente - attuale.


Thomas Jefferson

Quando nel corso degli eventi umani, diventa necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo hanno connesso ad un altro ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge di Natura e del Dio della Natura, un giusto rispetto per le opinioni dell'umanità richiede che esso dichiari le cause che lo costringono alla separazione.

Noi riteniamo queste verità di per sè evidenti:

che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità;

che per garantire questi diritti, sono istituiti fra gli Uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati;

che ogni qual volta una qualsiasi Forma di Governo tende a distruggere questi fini, è Diritto del Popolo modificarla o abolirla, e istituire un nuovo Governo che ponga le sue fondamenta su tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che gli sembrerà più probabile possa assicurargli Sicurezza e Felicità.

25 maggio 2010

Di dimore signorili, abituali ed eterne (qui non si parla di politica)

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

E' noto ai più (forse) che alla residenza in un comune segue l'iscrizione alle liste elettorali in quel comune stesso, e che il seggio elettorale in cui si va a votare dipende dalla zona geografica del comune in cui si è residenti.

Questo fatto è molto noto quando ci si riferisce a macroaree come le regioni: si parla infatti di regioni rosse, bianche, ecc. sulla base della prevalenza di determinati risultati elettorali espressi dai residenti (e perciò votanti) di quelle regioni. Il fenomeno è invece un po' meno noto - ma non ignoto - a livello di microaree quali i singoli comuni.
Tutti comunque sanno che dove si è residenti, lì e solo lì si può votare.

E vediamo dunque dove vota l'italiano più noto nel mondo, se si eccettua (forse) Colombo (che comunque non vota, forse non era neanche italiano e non ha in questo post nessun rilievo).

Secondo questo articolo del quotidiano Il Tempo, nelle ultime elezioni il premier Silvio Berlusconi ha votato al suo "seggio storico": nella simpatetica cronaca del quotidiano romano egli "arriva a Milano in mattinata e va direttamente a votare nella scuola elementare, situata ad un centinaio di metri dalla casa in cui abitavano la mamma e la sorella".
Si tratta di "un quartiere della periferia meneghina (zona Lorenteggio), che il premier conosce molto bene" tant'è che "in passato, ogni volta che andava a votare in via Scrosati, era l'occasione per passare a salutare mamma Rosa".

L'Uff.A. nel leggere queste righe ha un balzo: ma come, se ci vota ci risiede, se ci risiede ha la dimora abituale. Ma non abitava ad Arcore (comune della Brianza in precedenza ignoto alle cronache)?

Non verrete a dirmi che neppure il presidente del Consiglio rispetta la legge (anagrafica)?
E che è iscritto come residente (e votante) a Milano, e non ad Arcore a Villa San Martino (dove peraltro sembra si sia preparata con l'aiuto dello scultore Cascella l'ultima perpetua dimora)?

Dalla cronaca del Tempo, pare proprio di sì.

Se l'Uff.A di Arcore non ha iscritto il suo "ospite" più illustre (della presenza del quale sarà ben difficile che non "sia venuto a conoscenza", per metterla come la mette l'articolo 5 della legge anagrafica), che farà mai nel suo piccolo comune il vostro povero Uff.A. qui in basso?

Come intimerà agli inadempienti di iscriversi nel luogo di dimora abituale, pena l'iscrizione d'ufficio? E soprattutto come farà a "venirne a conoscenza", dato che le notizie su di loro saranno infinitamente più scarse rispetto a quanto si sa del premier?

Forse si potrà sanare qualcosa col prossimo censimento della popolazione del 2011. Se (e - col poeta - sottolineo se) ci sarà un censimento...

Beato il Sindaco Ufficiale di anagrafe di Arcore, che per sistemare certe posizioni avrà a disposizione tempo, tanto tempo. Praticamente l'eternità.

P.S. Questo post viene pubblicato (dopo tanto tempo...) in coincidenza con la manovra anticrisi del governo. Assicuro i miei venticinque lettori che la coincidenza è del tutto casuale. Qui non si parla di politica. Forse neanche nella manovra.

6 marzo 2010

Diritto e rovescio. Firme, decreti ad listam e leggi ad castam

Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni

Ora che sembra finita (?) la saga dell'ammissione delle liste elettorali in Lombardia e nel Lazio con un "decreto ad listam" alla tredicesima ora, sia consentito a un povero Uff.A. qui in basso - che deve occuparsi anche di materia elettorale, tra l'altro - di esprimere qualche considerazione breve e sintetica.

1. Come si ricava dalle istruzioni ministeriali che arrivano ogni anno in tutti gli uffici comunali (non sempre in tempo!), le elezioni regionali sono regolate dalla legge 108 del 1968. Per quello non espressamente previsto dalla legge 108, si fa riferimento al DPR 570 del 1960 che riguarda l'elezione dei comuni. Norme quindi che hanno dai 40 ai 50 anni di vita...

2. Le istruzioni ministeriali per il 2010 sono scaricabili dal 6 febbraio scorso anche online sul sito del ministero dell'Interno (cliccare qui). Per verificare quanto dico sopra al n. 1, si legga la premessa a pagina 2 delle istruzioni.

3. Posso assicurare che il manuale con le istruzioni di quest'anno è praticamente identico a quello dell'anno scorso e dell'anno prima. Non vi sono sostanziali innovazioni da anni.

Prima provvisoria domanda:
Come possa essere
- che il maggiore partito italiano "sbagli" qualcosa nella presentazione delle candidature,
- le liste vengano escluse,
- scoppi una mezza rivoluzione,
- si incrinino i rapporti tra Quirinale e Palazzo Chigi,
- vi sia un decreto che "interpreti",
- i TAR che forse del decreto se ne fregheranno,
- e noi che ci ritroveremo qui con un cerino in mano,
beh, questo è un mistero inspiegabile.

A meno che non sia successo quello che penso che sia successo.
Magari lo sanno già tutti, e sono io che arrivo tardi.

Potrebbe essere successo questo.
Intendiamoci, è solo un'ipotesi, io mi occupo di anagrafe e non di elettorale.
Potrebbe essere successo che il maggior partito italiano (che notoriamente ha al suo interno due grosse "anime" che l'hanno costituito tra il 2008 e il 2009) abbia tardato fino all'ultimo a presentare le carte presso i tribunali competenti perchè impegnato in lotte intestine per la definizione dei nomi sulla lista (un tot a me, un tot a te).

Ma come può avvenire ciò, se la legge (art. 9, comma 3 della ricordata legge 108 del 1968) dice che le liste vanno presentate da un certo numero di sottoscrittori (normali cittadini elettori) che firmano moduli con sopra già stampati il simbolo e le generalità di tutti i candidati?

Come può avvenire che a poche ore dalla scadenza (fissata a mezzogiorno di sabato 27 febbraio), ancora la sera prima vi siano grandi discussioni nei partiti per chiudere le liste e poi miracolosamente nella notte si trovino migliaia di cittadini che firmano i moduli e poi decine di pubblici ufficiali che autenticano quelle firme (vale a dire: che attestino che hanno visto quei cittadini firmare e che li hanno identificati)?
Si capisce che basta un po' di traffico in città, la stanchezza, la fame, un panino ingoiato in fretta, per mandare tutto per aria.

No. Nessun miracolo. Nessun cittadino svegliato nella notte. Nessun autenticatore a fare lo straordinario notturno.

La realtà è che tutte quelle firme sono già state raccolte giorni prima, su moduli in bianco, senza candidati nè simboli. E che gli autenticatori non hanno mai visto firmare nessuno.

La realtà è che una "legge ad castam", la n. 53 del 1990 - ipocritamente intitolata "Misure urgenti atte a garantire maggiore efficienza (!) al procedimento elettorale" - all'articolo 14 ha esteso il potere di autenticare non solo a pubblici funzionari (notai, cancellieri del tribunale, segretari comunali, impiegati incaricati dal Sindaco) ma anche ad assessori e consiglieri comunali e provinciali: in pratica a dei politici, che dovrebbero essere i controllati.

La realtà è che - ad esempio - i radicali, che non hanno quasi nessun assessore o consigliere, hanno potuto contare solo sui funzionari pubblici. E hanno dovuto inviare ai comuni i moduli perfettamente in regola (non certo in bianco!) perchè i funzionari comunali autenticassero le firme di cittadini che eventualmente si fossero presentati a sottoscrivere le liste radicali.
Anche nel mio comunello qua in basso è arrivato un modulo dei radicali, perfettamente in ordine, con stampati simbolo e candidati, proprio come dice la legge.
E quante firme hanno raccolto i radicali nel mio peraltro piccolo comune, seguendo la legge? Risposta facile: zero.

Certamente questa è una piaga che non affligge solo il Popolo della Libertà. Ma non può essere un caso che alle prime elezioni regionali in cui si presenta come tale (essendo nato tra il 2008 e il 2009), sia caduto proprio quel partito. Non perchè sia il solo a comportarsi illegalmente, ma perchè è il più diviso e ci ha messo più tempo. Altri partiti ci hanno solo messo meno, e invece di presentarsi in tribunale alle 12, magari sono arrivati alle 11. E si sono salvati.

Adesso il decreto è fatto. La legge è salva, la legalità un po' meno; il diritto - di cui questo paese è la culla, ma forse anche la tomba - versa invece in coma profondo.
E' l'Italia, bellezza.

6 febbraio 2010

A latere. Buone notizie su corruzione e lotta ai privilegi

La bella notizia è che finalmente un'inchiesta indipendente di un alto burocrate ha smascherato lo scandalo dei rimborsi "gonfiati" dei parlamentari che per anni hanno ricevuto soldi dallo Stato presentando note spese false o con costi grandemente aumentati.

Secondo l'inchiesta - pubblicata e rilanciata da tutti i giornali - il sistema era "profondamente sbagliato, mancava di trasparenza, con regole vaghe e facilmente violate o ignorate".

Circa quattrocento deputati (incluso il Premier) dovranno quindi restituire somme variabili per un totale di oltre 1,2 milioni di euro.
Le regole sui rimborsi verranno presto cambiate e rese più stringenti.

La cattiva notizia è questo accade altrove.
In Inghilterra.

No comment (in inglese).

27 gennaio 2010

A latere. Il giorno della Memoria

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo.
Come una rana d'inverno
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole:
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

23 gennaio 2010

No Gelmini, no party (di nozze). Dalla cronaca storie di matrimoni negati e replicati

Il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini

Avevo appena finito di fissare il confine tra anagrafe e stato civile lamentando che "nel linguaggio comune e nei titoli di giornali l'anagrafe è spesso l'ufficio comunale dove si va a registrare la nascita dei figli" e negando che questo sia vero, che mi capita di scoprire dai giornali che l'anagrafe è l'ufficio dove si va a sposarsi.
O, come a successo qui nel Nordest, a chiedere di sposarsi e sentirsi "negare i moduli".

Infatti, secondo il TGCOM (che non so bene che TG sia, ma è sicuramente di proprietà di una nota azienda televisiva di proprietà di una nota famiglia che vede tra le sue fila anche un noto politico) due ragazze lesbiche di Conselve (Padova) "si sono viste negare dall'impiegato dell'Anagrafe i moduli per le pubblicazioni di matrimonio. A quel punto hanno preteso un atto di diniego ufficiale, che poi hanno impugnato, trascinando in Tribunale il sindaco Antonio Ruzzon come rappresentante dello Stato".

Devo negare ancora, anche se so che sarà tempo perso: l'anagrafe non si occupa di matrimoni; è l'ufficio di stato civile che se ne occupa, ma tant'è.

Per un matrimonio che non si può fare (in Italia, perlomeno non ancora), un matrimonio che invece si è fatto.

A mezzanotte - apprendiamo infatti da La Stampa online - nel municipio di Sirmione sul lago di Garda la ministra Gelmini si è sposata con il compagno da cui attende una figlia.

Mi scuso per l'uso del termine "compagno", che potrebbe avere echi sinistri, ma quel che mi ha colpito è che secondo la Stampa "la celebrazione è stata officiata a mezzanotte e 15 dal sindaco Alessandro Mattinzoli, che oggi alle 11,00 ripeterà il rito a Villa Ansaldi, cui potranno accedere anche i 40 ospiti."

Il sindaco di Sirmione - nella sua veste di ufficiale dello stato civile, come avranno intuito i più attenti lettori - ha quindi sposato la ministra come si deve (art. 106 del Codice Civile: Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all'ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione).

Poi però, oggi alle 11, come un attore consumato il sindaco ufficiale di stato civile ripeterà la scena in una villa più consona, in un orario più consono e davanti a un piccolo selezionato pubblico. Praticamente una replica, come in tivù.

Naturalmente, trattandosi di stato civile, il vostro povero ufficiale di anagrafe qui in basso non ha alcun commento da fare...

9 gennaio 2010

Tra (alcuni) giornali e la cultura vi è la stessa differenza che passa tra Anagrafe e Stato Civile

Il sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo

Oggi il tempo è pessimo sul Nordest: piogge torrenziali flagellano la regione e così ho un po' di tempo e mi siedo al computer.

Il quotidiano del Nordest, il Gazzettino, ha come prima notizia sparata sul sito web: "Proposta choc del sindaco Gobbo [Gobbo è il cognome, nota ad uso dei non-nordestini]: porno nonna ambasciatrice di Treviso". Nel resto d'Italia la notizia del giorno è il dramma delle violenze a Rosarno in Calabria, ma tant'è: evidentemente così il Gazzettino - di proprietà del gruppo romano Caltagirone - declina l'espressione "stampa locale"...

In questi giorni mi torna in mente un concetto che ho sentito di recente (non ricordo dove e da chi espresso): "La cultura è distinguere; ogni discorso culturale non può che essere rigorosa distinzione tra fatto e fatto, tra concetto e concetto". Insomma, quel che ho capito io è: la cultura è "de-finizione", il porre "con-fini", "de-limitare".

Ovvero l'esatto opposto del fare-di-ogni-erba-un-fascio, dei messaggi semplici su questioni complesse, dei discorsi-da-bar (che sia forse questo il legame che nelle mie sinapsi cerebrali è scattato con il Gazzettino?).

Pertanto oggi molto umilmente e con il linguaggio che qui dal basso noi usiamo, mi dedicherò a delimitare concetti che in questi mesi forse ho dato per scontati. Prima di tutto la parola anagrafe.

Nel linguaggio comune e nei titoli di giornali l'anagrafe è spesso l'ufficio comunale dove si va a registrare la nascita dei figli (non so se ricordate la polemica estiva sull'iscrizione in anagrafe dei neonati stranieri legata al pacchetto sicurezza...). Devo smentire categoricamente: l'anagrafe non si occupa di questo. E' ben vero che nei piccoli comuni qua in basso l'ufficio è uno solo, l'impiegato sempre quello e lo sportello pure. Ma non è così.

L'anagrafe si occupa semplicemente (semplicemente?) di dove abita la gente e con chi abita. Per questo rilascia certificati di residenza (il dove!) e di stato di famiglia (con chi!). Punto. Ma, come ho forse lasciato intendere qua e là ogni tanto, non sempre si vuol far sapere allo Stato dove si abita, e in compagnia di chi. O talvolta si vuol far credere di abitare in un posto mentre invece si sta in un altro.

La questione - in sè piuttosto futile - diventa d'importanza capitale se si riflette che a questo "abitare" sono legate le tasse.
Infatti da tempo immemorabile gli stati hanno organizzato i censimenti (una sorta di anagrafe "istantanea") prevalentemente per motivi fiscali. Ora non è più così, ma rimangono legate alla residenza particolari tipi di tasse e imposte, come ad esempio la tassa sui rifiuti che tiene conto del numero dei componenti abitanti in una casa, sottintendendo - non sempre a ragione - che più persone abitano in una famiglia, più rifiuti si producono e più questi debbano pagare per il servizio di raccolta.

Chi invece si occupa dei grandi eventi della vita è l'ufficio di stato civile, e non l'anagrafe. Per grandi eventi della vita intendo la nascita, la morte e il matrimonio (anche se non tutti i mariti e le mogli saranno d'accordo...).
Ai quali va aggiunto l'acquisto di cittadinanza, un evento che sta diventando sempre più frequente nelle nostre società e che può fare la differenza nella vita di una persona: chiedere per l'appunto agli immigrati di Rosarno.

Da quel che ho tentato di dire si deduce anche una cosa che è particolarmente difficile da comprendere per il cittadino medio: se anagrafe e stato civile sono due cose diverse (anche se ospitate nel medesimo ufficio e impersonate dallo stesso impiegato), vuol dire che hanno anche regole diverse.
Per esempio i certificati di anagrafe si pagano (cosa che scatena forti proteste degli utenti allo sportello quando è necessario pagare anche l'imposta di bollo). Mentre quelli di stato civile (nascita, morte, matrimonio) sono completamente gratuiti.

Cosa questa che - assicuro - non scatena un altrettanto forte stupore...

30 dicembre 2009

Riflessione di fine anno: Zero è la cifra del decennio.

L'ex ministro dell'Interno Giuliano Amato

L'aria di fine anno si fa sentire. Anzi, parliamo pure di fine decennio: finalmente gli "anni Zero" (2000-2009) finiranno tra alcune ore e pochi - ne sono sicuro - li rimpiangeranno.

Gli anni di al Qaeda, George Bush, la guerra al terrore, l'esportazione della democrazia (peraltro sempre più ridotta nelle nostre società).

Il decennio dell'accelerazione del cambiamento climatico, dell'aumento dei migranti ambientali e per fame e povertà, della crisi economica innescata dalla bolla finanziaria, e di tutto quello che volete voi.

Diversamente dall'omologo decennio del precedente secolo ventesimo, questo non verrà certo ricordato come la belle époque; eccoci qui allora - "tutti prigionieri nella giostra circolare del tempo", come dice la poetessa - a illuderci che i prossimi 365 giorni saranno migliori e che gli anni Dieci saranno più favorevoli degli Zero.

Anche per l'anagrafe gli anni Zero saranno da dimenticare: questa è la mia convinzione. Dopo gli anni Novanta (che videro la messa in pratica del nuovo regolamento anagrafico datato 1989), gli anni Zero sono stati gli anni della demolizione delle certezze.

Tanto per dire, prima gli stranieri venivano iscritti in anagrafe solo se avevano ed esibivano un permesso di soggiorno; negli anni Zero una serie di circolari e direttive (cui ha contribuito pesantemente il ministro Amato) hanno moltiplicato le eccezioni alla regola, creando non poche confusioni e diatribe, principalmente a causa dell'incapacità del ministero dell'Interno di affrontare e gestire le richieste di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno.
Voto: zero.

Sempre per dire, prima la supervisione dell'anagrafe la facevano Istat (soprattutto) e Ministero dell'Interno, e un pregevole tentativo di dare direttive coordinate (purtroppo non seguito da aggiornamenti!) furono le Note ed Avvertenze del 1992; negli anni Zero tutto il potere è andato al ministero, i cui burocrati spesso non sono all'altezza: nonostante Internet e la tecnologia, grande è la confusione sotto il cielo, lo si constati direttamente nel "servizio" L'esperto risponde del sito ministeriale.
Voto: zero.

Non solo, negli anni Zero alcuni Sindaci - che sono i titolari della funzione di ufficiale di anagrafe che poi estendono a noi qui in basso poveri ufficiali "delegati" - si sono inventati competenze e ordinanze, tutte assolutamente fuori della legge e dalla Costituzione (si legga l'art. 117 lettera i) nella versione ora vigente, per il futuro aspettiamoci cose come "le riforme istituzionali").

Ciò è avvenuto non già per motivi anagrafici; tipicamente, infatti, l'anagrafe risponde alla domanda "dove sta chi?" e tende ad essere universale, vale a dire che ambisce - ha l'ambizione, intendo - di censire tutte le persone di un territorio indicando precisamente dove esse abitano.
Le varie ordinanze che qui a Nordest si sono diffuse, invece, rispondono più alla domanda "come fare per stabilire chi è fuori e chi è dentro?"; come si vede siamo concettualmente agli antipodi. Senza contare che hanno lasciato (e lasciano tuttora) molti colleghi lacerati tra il rispetto della legge e della loro propria funzione e dignità da una parte, e l'obbedienza dovuta al Capo dell'Amministrazione, il Sindaco, dall'altra.
Voto: zero.

E si potrebbe continuare...

Lasciamoci quindi alle spalle gli anni Zero senza troppi rimpianti e con un solo timore: che anni saranno i prossimi che avranno questo Zero come radici e fondamenta?

P.S. del 31 dicembre:
Sergio Romano sul Corriere di oggi esamina anche lui il decennio che sta finendo; il suo pezzo s'intitola "Addio anni zero senza rimpianti" . Ma guarda un po' 'sti editorialisti ...

6 settembre 2009

Ritorno col malumore, se si eccettua una postilla comica alla telenovela della carta d'identità

Il presidente egiziano Hosni Mubarak

Sono tornato.
Dopo un periodo di silenzio (durante il quale - come anticipato - vi sono stati due appuntamenti elettorali con tre elezioni, le ferie, le ferie dei colleghi che da noi qua in basso nei piccoli comuni tocca a te sostituire...) mi ripresento.
L'umore non è dei migliori.
E parlo per me, ovviamente, mica per il Paese (l'Italia, intendo: meglio specificare, di questi tempi).
Paese che si avvia verso un autunno che pochi disfattisti dicono di crisi, di chiusure di fabbriche, di precari sempre più precari anche nella pubblica amministrazione.
Ma che da altre prospettive si prepara roseo: con l'autunno torneranno veline e aspiranti tali, le fiction in tivù, i famosi, i non famosi e i perfetti sconosciuti; insomma tutti i circenses necessari a dimenticare la penuria di panem.

Tornando a me, confesso che non aver ricevuto alcun segno di vita dai colleghi sull'argomento che mi sta particolarmente a cuore - l'etica professionale dell'Uff.A. - mi deprime ulteriormente.

L'unica cosa che mi solleva l'umore è la lettura della circolare ministeriale n. 20 del 21 agosto (a Ferragosto passato...), terza puntata della pasticciata telenovela della proroga a 10 anni della carta d'identità (cdi), argomento affrontato in questo post in cui pregavo invano di non semplificare più nulla.
In realtà nella circolare si parla della cdi elettronica, che da noi qua in basso nei piccoli comuni manco sappiamo come è fatta (veramente una volta ne ho vista una di un signore residente a Milano...).
Ebbene, alcuni Paesi (Egitto in primis, ma anche Turchia, Tunisia, Croazia, Romania e Svizzera) pare non riconoscano la validità del foglio di carta fatto dai Comuni per prorogare le cdi elettroniche, grandi come una tessera bancomat, che hanno stampate la loro bella scadenza quinquennale.
Sembra che esistano anche Paesi così, al mondo: appena un po' più seri del nostro.

La dottoressa Anna Di Stefano, che firma la circolare per conto del Direttore Centrale dottoressa Porzio (che io immagino in ferie quel giorno, spero non nel Mar Rosso...), avverte il 21 agosto che l'Egitto ha formalmente informato per via diplomatica che riconosce solo quel che c'è scritto sulla tessera elettronica e il foglio di carta che l'accompagna non lo guarda nemmeno.

La dottoressa conclude la circolare con una frase delicata, che merita di riportare per intero notando la tenerezza dei verbi scelti (pregare, aver cura, suggerire) quasi a scusarsi di disturbare i cittadini a Ferragosto passato:
"Si pregano [i prefetti] di voler informare i Sindaci che avranno cura, a loro volta, di suggerire ai cittadini che intendessero recarsi in viaggio nei Paesi sopraindicati, di munirsi di altro idoneo documento di viaggio".

Arrangiatevi, capisco io.
Fine. Per ora.

10 maggio 2009

La battaglia è persa, aboliamo l'anagrafe!

Il ministro dell'Interno on. Roberto Maroni.

Questa è un po' forte anche per me: mi è arrivata - all'indirizzo anagrafedalbasso.mail@gmail.com - la proposta dell'abolizione dell'anagrafe, nientemeno!
Ho pensato un po' prima di dare alla luce riflessioni così "estreme", ma poi la provocazione (che tale considero) mi è parsa molto bella e mi sapeva male che dovesse rimanere sconosciuta. Lascio pertanto ai miei venticinque lettori l'esame del manoscritto dell'anonimo collega.

Basta, bisogna ammetterea noi stessi per primi che la battaglia è persa, hanno vinto loro e l'anagrafe non è più (ammesso che lo sia stata) la fotografia della realtà ma una grande “baracca” con adempimenti, carte che girano su è giù per l'Italia, accertamenti che non accertano più niente.
Quindi bisogna essere conseguenti e chiedere o noi ufficiali d'anagrafe o l'Anusca l'abolizione dell'anagrafe e naturalmente di tutte quelle normative basate sull'anagrafe, sulla residenza e sulla famiglia che vengono continuamente aggirate.
Basta agevolazioni prima casa con l'obbligo di portare la residenza entro 18 mesi, basta assegni familiari sulla base dello stato famiglia, basta agevolazioni sul reddito familiare dimostrato dallo stato famiglia,basta ricongiungimenti familiari per stranieri basati sul rapporto metri quadri – residenti (sulla carta).

Al posto di tutte le pratiche che richiedono il “certificato anagrafico” ci sarà una tra le tre seguenti soluzioni, da usare dove è più opportuno:
- o automatismi (per es. agevolazioni prima casa per la sola prima casa che ti intesti e basta, assegni familiari per il solo fatto di essere genitore o coniuge)
- o controlli "ad hoc" per chi richiede certe prestazioni (per es. chi chiede il ricongiungimento subirà la visita dell'assistente sociale, del geometra comunale, dei vigili,tutti uffici che relazioneranno sulla situazione di fatto che trovano e daranno il parere)
- oppure l'abolizione pura e semplice di norme obsolete, come per es. per le tariffe residenti di acqua luce e gas.

Si libereranno così risorse umane e finanziarie ora dedicate alla grande complicata “baracca” dell'anagrafe e si semplificherà la vita a cittadini e uffici, che si concentreranno a verificare la situazione di fatto (non sulla carta come adesso) dei soli richiedenti particolari prestazioni. Dopotutto vi sono stati civili come l'inghilterra e gli Stati Uniti, che senza anagrafe sopravvivono benissimo.